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Roberto Ghezzi

Roberto Ghezzi

Roberto Ghezzi è nato a Cortona (AR) nel 1978, dove vive e lavora.
La sua formazione ha avvio all’interno dello studio di scultura di famiglia e si perfeziona all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Inizia ad esporre negli anni Novanta e i suoi esordi sono legati alla pittura.
Tutta la sua produzione è fondata sul forte interesse per il paesaggio naturale, che, agli inizi, egli indaga sia attraverso la rappresentazione pittorica, che mediante sperimentazioni “sul campo”, a contatto diretto con l’ambiente naturale. Si tratta di uno studio portato avanti nel corso di un decennio, che, muovendo da un approccio scientifico di esame approfondito della realtà organica, assume forma concettuale attraverso la materia.
Nei primi anni 2000 presenta al pubblico opere legate alla suddetta ricerca, maturata negli anni. Creazioni inedite, che nascono da studi e sperimentazioni su luoghi naturali, spesso incontaminati, e il cui titolo Naturografie© ha in sé il concetto fondante sia del risultato finale sia del processo. Quest’ultimo è parte integrante dell’opera, in un viaggio all’origine del rapporto tra artista e natura, dove il supporto è spazio di comunione tra essi. L’artista crea con la natura ma, al tempo stesso, sovraintende ad ogni fase della creazione: dalla determinazione delle variabili iniziali, al fattore tempo, fino alla forma finale.

www.robertoghezzi.it

 

Intervista a ROBERTO GHEZZI di Nicoletta Biglietti

La libertà di rappresentare il proprio “tempo”. La consapevolezza di preservarlo e renderlo eterno. È quel modo delicato e naturale di interpretare l’oggi e le sue “urgenze” che caratterizza le opere di Roberto Ghezzi, artista che ha fatto del paradigma arte-uomo-natura la sua cifra stilistica, delineando frammenti di contemporaneità che – se non curati e attenzionati – rischiano di scomparire per sempre.
È infatti nell’ambito di CONNEXXION. Festival diffuso di arte contemporanea … per essere liberi. Tra identità e memoria, a cura di Livia Savorelli, che prende vita la mostra Frammenti. Atti di conservazione per un futuro di libertà – a cura di Livia Savorelli e Matteo Galbiati – presso il Civico Museo Archeologico alla Fortezza del Priamàr a Savona; un’esposizione in cui sono presentati due diversi cicli dell’artista, le Naturografie e le cianotipie, frutto del progetto The Greenland project – residenzaartistica in Groenlandia – di cui Ghezzi ha approfondito la portata artistico-scientifica in un laboratorio tenuto nel mese di novembre e destinato alle scuole primarie e nel talk Blue Tears. Naturografie e alle storie sul cambiamento climatico.
Una tecnica, la sua, che prevede lunghi tempi di realizzazione, conducendo l’artista a praticare e vivere l’ambiente naturale in modo intenso, puro e intimo. A questa ricerca si affianca anche un interesse scientifico, esplicitato sovente nella collaborazione con biologi, studiosi e ricercatori che si occupano di rilevare l’impatto dell’uomo sulla Natura.
Abbiamo approfondito con l’artista le tematiche principali delle sue opere, delineando quel filo rosso di memorie e sedimenti che, dal passato, giunge fino al presente.

Il paesaggio naturale, con i suoi ritmi e le sue forze, rappresenta da sempre un ambito provvisorio della tua ricerca. The Greenland project è un progetto in cui arte e scienza esplicano l’urgenza del cambiamento climatico e, al contempo, la bellezza di una natura e del suo “libero mutare”. Da cosa nasce il desiderio di affrontare, in modo contestuale, queste tematiche?
Il progetto nasce da una residenza d’artista tenutasi nel mese di giugno del 2022 in Groenlandia, durante la quale ho deciso di declinare in modo diverso gli “elementi” caratteristici della mia poetica per documentare il fenomeno della Chlamydomonas Nivalis, un’alga che, a causa della colorazione rossa che la caratterizza, riesce a ridurre il potere riflettente del ghiaccio, favorendone quindi lo scioglimento.
Da sempre mi concentro su un approccio “particolare” nei confronti del paesaggio naturale. Una modalità che implica il fare “un passo indietro” da parte dell’artista – abbandonando i consueti mezzi di rappresentazione – per lasciare che sia il paesaggio stesso a imprimere la propria “essenza” sul supporto designato.
In questa specifico progetto ho infatti modificato parzialmente l’antica tecnica della cianotipia, non esponendo il foglio alla luce del sole, ma riponendolo sotto il ghiaccio. Un aspetto, che ricollega le mie immagini alla pratica delle Naturografie, opere d’arte “vive” in cui si ravvisa un perfetto connubio tra uomo, arte e natura; un uomo – cioè l’artista – che non interviene come mediatore di rappresentazione, ma lascia che sia la sincerità dell’ambiente ad imprimersi sul supporto.
È stato il desiderio di esprimere “l’abdicare dell’uomo”, in favore della natura creatrice, il perno che ha portato alla creazione di queste opere.

La tua pratica artistica ti porta a vivere in profonda connessione con l’ambiente naturale, sondandone caratteristiche, morfologie e divenendone empiricamente un ottimo conoscitore. Maqual è l’aspetto che più ti ha colpito dell’azione della natura sulle tue opere?
È l’equilibrio estetico-compositivo naturalmente tracciato che crea la bellezza intrinseca dell’opera; una bellezza che si delinea senza che nulla sia stato giustapposto o imposto dall’artista, a testimoniare che meno l’uomo interviene sui processi naturali e più l’equilibrio è grande. Meno l’uomo si impone e più la natura si esprime nella sua limpida, eterea e manifesta perfezione.

Nelle Naturografie il valore del Tempo è essenziale. Come viene “intrappolato” nell’opera e restituito all’osservatore?
Nelle mie opere il tempo è fondamentale e nelle Naturografie, in particolare, è un elemento che congiuntamente all’azione della natura fa sì che l’opera sia un insieme di sedimentazioni l’una sull’altra. Un insieme di piccoli, flebili, ma essenziali istanti, senza i quali l’opera non sarebbe mai potuta esistere.
Per me donare allo spettatore questa immagine è fondamentale perché troppo spesso si ha una visione della realtà che è così effimera e “istantanea”. Quando si parla di rappresentazione della natura, infatti, si tende sempre a cogliere un singolo momento e mai una temporalità più ampia. Sia che si tratti di fotografia, di pittura o di immagini veicolate tramite Social Network, nella contemporaneità questa mancanza di tempo è ancora più evidente.
Il diluire in uno spazio temporale più ampio un istante che è stato ‘catturato’ e impresso, credo permetta di innestare nell’osservatore una riflessione profonda, perché il tempo – quale dimensione per eccellenza della vita – ha una sua profondità.
La profondità di un istante che – se osservata ed esperita – è eterna.

Un concetto di eternità temporale che purtroppo si contrappone con l’urgenza di intervenire nella lotta al cambiamento climatico. Da che cosa nasce questo tuo desiderio di correlare la natura, l’arte, la scienza con la più stretta contemporaneità?
In un’epoca come quella attuale, nella quale spesso ci si domanda quelle sia il ruolo dell’arte, credo sia fondamentale creare dei canali che la rendano più trasversale.
Affiancare l’arte e la ricerca scientifica a istanze così attuali e urgenti spero possa creare le condizioni per un interscambio di mutuo vantaggio.
Ad esempio, in The Greenland project ho collaborato con il CNR – il Consiglio Nazionale delle Ricerche – ed è emerso che le mie opere potessero essere utilizzate dai ricercatori come vere e proprie radiografie del ghiaccio.
Un esempio di come una ricerca artistica possa stimolare anche un ulteriore approfondimento scientifico – oltre che divulgare un problema ambientale – perché il messaggio fondamentale di queste opere è proprio che l’equilibrio della natura si ha quando l’intervento dell’uomo è minimo. Ma in quel minino agire, si lascia spazio alla profetica e manifesta azione della natura, che nella sua essenza ricorda all’uomo la sua piccolezza.

Che cosa dovrebbe provare l’osservatore nel contemplare le tue opere?
La voglia di riconduzione alla realtà nel modo più naturale e puro possibile.
La voglia di cogliere il mondo e la sua splendida natura vivendo “l’istante” in modo vero.
Vivendo l’istante in modo “Vivo”.