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Matteo Musetti

Matteo Musetti. Ph. Magda Filiberti

(Savona, 1975)

Matteo Musetti vive e lavora a Plodio (SV). Acquista la sua prima fotocamera reflex digitale nel 2006, servendosi di questo strumento per interpretare in modo personale la realtà che lo circonda. Si dedica in un primo momento alla paesaggistica per poi lasciar emergere una ricerca sempre più intima e profonda che lo porta ad abbandonare la fotografia tradizionale a favore di un linguaggio sempre più personale e artistico. Restando ancorato al suo territorio d’origine sviluppa una serie di progetti fotografici quali: “Franco la forza della curiosità”, “Staglieno un silenzio assordante”, “Pazzia arancione”. Nel 2004, la morte del padre ha un forte impatto non solo nella sua vita ma anche nel suo rapporto con la fotografia che sviluppa con un nuovo linguaggio capace di indagare e osservare quello che sente più di ciò che “semplicemente” osserva. Da quel momento intraprende un viaggio interiore all’interno di una serie di luoghi abbandonati – ville, ospedali, manicomi, fabbriche – sulle tracce dell’assenza della figura paterna. Questi scatti vengono raccolti nel progetto “Il Silenzio è Violenza”. Attualmente si sta dedicando allo studio del colore, ricercando una saturazione cromatica esplosiva e travolgente in grado di esprimere al meglio le sensazioni proprie della realtà quotidiana.

www.matteomusetti.it

Il Perdono ha l’odore dei fiori calpestati
Sezione Sguardi, a cura di Livia Savorelli

Il progetto del fotografo valbormidese Matteo Musetti – già coinvolto dalla curatrice nella scorsa edizione del Festival, chiamato a rappresentare, con il suo inedito sguardo laterale, la struttura abbandonata dell’ex Carcere – tocca, con la consueta delicatezza che caratterizza il suo lavoro, il tema della fragilità umana rappresentandola con sensibilità e rispetto, attraverso il progetto inedito e site-specific: Il Perdono ha l’odore dei fiori calpestati.
Il punto di partenza del lavoro è rappresentato da una serie di fotografie in B/N realizzate in strutture residenziali, immagini volutamente “molto sporche” che ritraggono gli anziani nell’ultima fase della loro vita o altri degenti che sono stati inseriti in queste strutture perché la famiglia di origine non poteva/voleva occuparsene.

In un luogo di confine e di costrizione, la riflessione sulla libertà del singolo e su quanto essa dipenda dalle scelte altrui, assume un sapore amaro e rimanda alla dinamica del perdono, nelle sue più ampie accezioni: il perdono del figlio chiesto a un genitore messo in struttura, quello del genitore conscio delle difficoltà in cui involontariamente ha posto il familiare, alle famiglie che non lo riceveranno mai.
Musetti, con la leggerezza e delicatezza del suo porsi di fronte al dolore dell’esistenza, dà voce a un tema scomodo, spesso taciuto, situazioni complesse in cui dignità, vulnerabilità e intimità umana vengono calpestate come un mazzo di fiori, trasformando la sua eleganza e delicatezza in un ammasso informe ormai violato che non emana più un intenso profumo ma soltanto un odore acre.

Una particolarità del progetto di Musetti, che alimenta ulteriormente la dimensione legata alla cura, è che le foto sono stampate su salviette di TNT (tessuto non tessuto), il materiale abitualmente usato per l’igiene personale degli anziani. Queste saranno appese per uno spigolo su dei vecchi bastoni di una RSA, a testimoniare la precarietà dell’esistenza di queste persone che, nelle strutture che le ospitano, attendono solo il riposo eterno.
Agli spettatori, l’artista chiede di diventare parte attiva nella scoperta dell’installazione, stendendo il panno, stropicciato come le rughe dei protagonisti, creando un’interazione tattile e intima di scoperta e di apertura, completata dall’interazione olfattiva innescata da un mazzo di fiori calpestato all’interno della sala e dalla visione di un intenso filmato con musica della durata di pochi minuti.