Lorenzo Gnata

Lorenzo Gnata (Biella, 1997) è un artista italiano. Nel 2022 consegue il diploma di secondo livello in Pittura presso l’Accademia Albertina di Torino. La sua ricerca artistica tenta di indagare l’esistenza contemporanea in relazione ad ogni elemento circostante, in una costante tensione poetica “concettuale-figurativa”, che si serve di immagini e metafore per parlare di questioni ben oltre il mero visibile. Sue opere sono state esposte presso: Tate Britain (Londra), La Triennale (Milano), Reggia di Venaria (Torino), Fondazione Treccani (Napoli), Fondazione Bevilacqua La Masa (Venezia), ZonArte – Artissima (Torino).
CELLA EX CARCERE SANT’AGOSTINO
Racconti di terra
Sono motivi vegetali quelli che si palesano varcando la soglia della cella. Un limite che ci separa dalla dimensione del possibile, celata nell’oscurità.
Linee tracciate da Lorenzo Gnata utilizzando una penna 3D, strumento di cui si avvale per dare autonomia al segno, rendendolo materia e liberandolo nello spazio. Queste originano da terra, risalendo il vuoto in torsioni e volute, per poi estinguersi a mezz’aria. Entità ibride vincono così le leggi della gravità e del reale, in una fusione umano-vegetale che tenta di ricucire le ferite di un’epoca dilaniata, violentatrice di ogni forma vivente.
Occorre ripensare le logiche dell’esistenza, creando legami inediti e inaspettati, parentele orizzontali, luoghi di rifugio per preservare un’esistenza multi-specie. Occorre, per usare le parole di Donna Haraway, “restare a contatto con il problema”, per resistere e sopravvivere in un tempo crudele e devastato come il nostro.
Intervista a LORENZO GNATA di Eleonora Bianchi
La ricerca artistica di Lorenzo Gnata gravita attorno a una scrupolosa indagine dell’essere umano e delle sue relazioni con quanto lo circonda, la sua potenza espressiva scaturisce da quelle urgenze del contemporaneo che dettano ritmi e modi della nostra intera esistenza. L’artista crea legami e rifugi in un tempo crudele che ci vorrebbe soli e scoperti. La sospensione offerta da Gnata sa essere, al contempo, catartica e ansiogena, una tensione ossimorica che, tanto in pittura quanto nelle installazioni, è in grado di superare quello che l’occhio vede, per raggiungere il fulcro delle situazioni che l’artista affronta, per sopravvivere in questa contemporaneità, ma sempre restando a stretto contatto con il problema.
Come nasce la tua opera Racconti di terra, in mostra all’ex carcere Sant’Agostino di Savona?
Racconti di terra è parte di un percorso artistico che ho avviato nel 2022. Inizialmente, la mia ricerca si focalizzava sulla figura umana, ma dopo una residenza artistica in alta montagna, ho iniziato a integrare l’elemento vegetale nella mia poetica. Nello stesso periodo ho avviato una ricerca sul rapporto tra essere umano e cosmo. Ho provato a rileggere il concetto di panismo, cercando di adattarlo alla contemporaneità e ho scoperto che oggi esso si manifesta attraverso il pensiero multispecie, ecologista e il nuovo femminismo, con figure di riferimento come Donna Haraway. Haraway propone soluzioni per affrontare le crisi attuali instaurando relazioni più profonde e sostenibili con tutto ciò che ci circonda, creando legami rizomatici per la nostra salvezza.
Racconti di terra nasce da questa filosofia: siamo fatti di humus e dobbiamo creare relazioni attraverso il compostaggio, sporcandoci le mani nel terreno e inseguendo l’idea di rigenerazione. Gli elementi vegetali e umani presenti nell’installazione appaiono come allucinazioni in un luogo di totale annullamento. Gli elementi fosforescenti inizialmente non si vedono, ma con il tempo l’occhio si abitua e comincia a distinguere figure che si rivelano essere persone tra alberi e arbusti. Attorno, foglie immobili sembrano congelate in una fotografia di un momento in corso. L’intento è raccontare una magia, una rinascita in un contesto pesante come il carcere, realizzando il compost auspicato da Haraway.
Come si sviluppa a livello tecnico?
Ho disegnato con la penna 3D su dei veli di tulle nero, utilizzando un filamento fosforescente illuminato con la luce di Wood. Ho dotato questa lampada di un sensore che facesse spegnere la luce alla presenza di uno spettatore: la luminescenza data dalla luce UV dura fino a un massimo di dieci o quindici minuti circa, quindi le figure tendono a scomparire nel buio e rimangono dei fantasmi evanescenti ed estremamente caduchi. L’impermanenza di queste non-presenze apre la strada alla possibilità, non è solo una condizione da accettare, ma anche un’opportunità per riscoprire e reimmaginare il nostro rapporto con il mondo.
Che relazione si instaura tra l’opera e il luogo nel quale è installata?
Lo spazio del carcere è caratterizzato da una forte coercizione e pesantezza, non solo nei materiali duri e freddi che lo costituiscono ma anche – e forse soprattutto – nell’atmosfera: è un luogo surreale, in stato di semiabbandono e che trasmette un forte disagio. La mia è un’incursione di elementi vegetali in un ambiente buio, già di per sé disorientante, con questo intervento ho cercato di restituire una nuova luce a questo spazio, è un tentativo di rigenerazione. Racconti di terra vuole creare un rifugio in un luogo che non è mai stato pensato per esserlo: ho voluto proporre un senso di speranza, una connessione con la natura e con gli altri esseri viventi anche in un contesto così coercitivo e desolante. Il mio intervento vuole suggerire che, persino nei luoghi più cupi e oppressivi, è possibile trovare una via per la rinascita e la rigenerazione, sia dello spazio che delle persone che lo abitano.
Cosa ti ha portato a scegliere la penna 3D come strumento per esprimerti? Come si inserisce nel tuo percorso artistico?
Sono sempre stato un pittore, ma a un certo punto del mio percorso ho iniziato a sentirmi ingabbiato nella pittura, con la quale ho un rapporto molto tormentato a causa della sua natura troppo intima. In passato, ho lavorato con fondi acidi e figure umane fuori contesto, utilizzando determinate tinte livide per esprimere ed esorcizzare un trauma.
Dopo una breve parentesi di sperimentazione con il collage – che mi ha permesso sostanzialmente di replicare quanto stavo facendo in pittura – ho scoperto la penna 3D, una sorta di terra di nessuno che unisce molti linguaggi diversi e che possiede, a mio parere, un potenziale altissimo. Quindi, in un momento di crisi creativa, mentre cercavo un modo per rendere la pittura ancora più pittura, ho iniziato a sperimentare con la penna 3D, inizialmente abbinata alla pittura e in seguito anche in autonomia. Questo strumento mi ha permesso di uscire da quella bidimensionalità ormai limitante e di lavorare con lo spazio in maniera più libera. Nonostante utilizzi molti media diversi, sono tutti connessi dalla mia poetica di base, che ruota attorno al tema dell’esistenza. La penna 3D mi ha offerto un nuovo modo di esplorare e rappresentare questo tema, in quanto mi permette di creare una scultura “non violenta”, un segno che nasce come pittorico ma che successivamente si trasforma in materia scultorea.
Come si lega la tua installazione ai temi del Festival? Come li vivi nella quotidianità del tuo processo creativo?
Per quanto l’opera non sia concepita esplicitamente per parlare di Resistenza storica, rappresenta una sorta di dichiarazione universale di libertà. Nell’atto di esistere oggi, vedo già un atto di resistenza: opporsi e trovare vie alternative per essere responsabili e rispondere alle sfide del nostro tempo è un modo per curare un mondo ferito e abusato. Quindi direi che i concetti di libertà, identità e memoria si legano a quell’idea di resistenza generale, di sopravvivenza in un contesto spazio-temporale così complesso e difficoltoso come quello in cui ci troviamo a vivere.
L’opera vuole essere una rivendicazione e un tentativo di trovare una narrazione alternativa. Il carcere, luogo storicamente in grado di annullare l’essere umano, ottiene, attraverso Racconti di terra, una narrazione alternativa e, con essa, la possibilità di compostare.
Nella quotidianità del mio processo creativo, vivo questi temi cercando sempre di oppormi alla stagnazione e alla sconfitta, trovando nuovi mezzi e linguaggi per esprimere la mia visione. La mia arte è un continuo atto di resistenza e ricerca di libertà, un modo per affermare la mia identità e preservare la memoria di esperienze e traumi personali e collettivi. Utilizzo la creatività per trasformare il disagio in qualcosa di significativo, cercando di instaurare nuove relazioni e narrazioni che possano ispirare e compostare.




