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Federica Mariani

Federica Mariani

(Milano, 2000)

Vive e lavora a Milano.
Utilizzando l’archivio come strumento principale di investigazione artistica, Federica Mariani setaccia i margini della “Storia” alla ricerca di pratiche nascoste, contributi fondamentali eppure invisibili, donne la cui presenza è rimasta forte nonostante l’assenza nel quadro principale degli eventi. La “Storia” è infatti scritta dai vincitori, eppure esiste un altro tipo di storia, tenuta nascosta dai vincitori stessi, che da sempre accompagna il corso degli eventi. E così anche la contemporaneità, costruita dalle guerre e dalla violenza, porta in sé residui e contaminazioni dell’atteggiamento antropocentrico, maschilista e specista che da sempre l’uomo riversa sui suoi simili, sull’animale e l’ambiente. Prerogativa dell’attualità è il ripensamento dell’essere umano e dei suoi rapporti con l’altro.
La ricerca artistica di Mariani, forma e applicazione del concetto di vendetta di Benjamin, vuole vendicare la storia, gli eventi, le persone che ci sono state nascoste.

CELLA N. 7
Body search by-the-book di Federica Mariani

Vincitrice, insieme ad Angelo Demitri Morandini del premio speciale CONNEXXION ad Arteam Cup 2024, Federica Mariani presenta una progettualità inedita che si compone di un video 4K It’s not always easy to be a cop (2025) e di una serie di sculture costituite da lame e cera di paraffina, dal titolo The knives are out (2025).

A partire da alcune testimonianze e storie legate all’ex casa circondariale di Sant’Agostino, l’artista si sofferma sulle pratiche perquisitorie femminili svolte in fase di ingresso nel carcere, esplorando il delicato confine tra pubblico e privato.
Le opere mostrano risvolti ironici e imprevisti delle modalità ed operatività perquisitorie svolte all’ingresso del carcere. Nel video It’s not always easy to be a cop, la silhouette animata di un poliziotto ci mostra le posizioni da assumere nel momento della perquisizione: le gestualità, performate senza un soggetto a cui sottoporle, figurano come un’ironica e solitaria sequenza danzante.

Oltre al video, disposte con rigore scientifico, una serie di piccole sculture composte da coltelli e lame inseriti in organiche configurazioni in cera, che si presentano come strumento di difesa/offesa, come fossero figli di una materna gestazione.
The knives are out racconta l’uso sovversivo dell’utero come luogo di custodia utilizzato dalle detenute per introdurre armi nel penitenziario; le lame così trasportate hanno assunto morfologie diverse, come avessero subito una gestazione nell’utero di chi le ha portate con sé.