Gino D’Ugo

(Marino, Roma, 1968)
Vive e lavora a Lerici (La Spezia). Artista visivo e docente di Cultura del progetto all’Accademia di Belle arti di Firenze e di Carrara.
Utilizza diversi mezzi e modalità di linguaggio, grazie ai quali, attraverso l’uso dell’interferenza, del simbolo o dell’evocazione in relazione con l’ambiente, si confronta con lo spazio ma anche con la forma. Forma e spazio che sono anche elementi di interrelazione con il processo interpretativo dell’osservatore per infrangere il fare dell’automatismo e per creare una perturbazione fuori dalle regole della realtà codificata e dell’immobilità della forma stessa. Attraverso questa relazione con lo spettatore, D’Ugo intende l’arte come processo attivo di un pensiero critico, fornitore di possibilità e soluzioni, che stimolano nuovi percorsi di senso, capaci di dare vita a nuovi immaginari e attivare processi di accrescimento della sensibilità. Dal 2016 al 2024 è direttore artistico e curatore delle rassegne per l’osservatorio d’arte contemporanea Fourteen ArTellaro, Tellaro di Lerici (SP).
CELLA N. 4
Ali di Gino D’Ugo
Definire quali siano i presupposti della libertà ci mette di fronte all’incertezza tra il pensiero assoluto e il pensiero relativo, senza una facile soluzione e dove i limiti della stessa sono di difficile demarcazione.
C’è sempre qualcosa di transitorio e in continuo movimento, nel tempo, nelle culture, nell’individuo e tra le persone. La società impartisce regole, sovrastrutture culturali e dilata i confini delle necessità: la conoscenza istituzionalizzata è spesso noiosa e pesante, è resa ripetitiva e convenzionale, un grave compito da eseguire quotidianamente sovrasta l’immaginario. Di contro a tutto questo si potrebbe pensare, come alcuni studiosi e pensatori hanno fatto, che il giusto modello di libertà possa essere il perfetto selvaggio, libero di agire senza alcuna costrizione e senza limiti, se non quelli dettati dalla natura.
L’installazione ALI di Gino D’Ugo è una forma aperta nello spazio, costituita da una moltitudine frammentaria, è pensata come un elogio alla leggerezza, ovvero come la visione di poter trasformare il lavoro della conoscenza, della cultura, della memoria in essenza vitale, volatile e in continua trasformazione germinale. Utilizzando il mezzo della conoscenza rappresentato dai libri e l’elemento della metamorfosi rappresentato dalle farfalle, s’innesca una connessione di significati che costituiscono l’ingranaggio del senso diventando evocazione e stimolando una contemplazione attiva da parte di chi guarda.
La controimmagine del ritmo volatile del segno è il dono della leggerezza del pensiero, auspica che lo spazio dell’intimo e quello esterno si incontrino e attivino attraverso questo una libertà liberata.