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Mona Lisa Tina

Mona Lisa Tina. Ph. Vanis Dondi

Mona Lisa Tina, nata a Francavilla Fontana (BR) nel 1977, vive e lavora a Bologna. Si è diplomata nel 2005 in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna e si è specializzata nel 2012 in Arte Terapia presso Art Therapy Italiana.
È referente didattico del Corso Triennale in arte terapia presso LE NUOVE ARTI TERAPIE – indirizzo Arti Visive e Performative che si tiene a Bologna, Firenze, Roma e Milano, Direttore Oliviero Rossi.
Ha esposto presso musei in Italia e all’estero, e in gallerie e spazi di ricerca di arte contemporanea. Conduce seminari e workshop sugli aspetti fondanti della sua indagine artistica, nonché ha curato e preso parte a molte pubblicazioni che hanno per oggetto il linguaggio espressivo della Performance e la centralità del corpo.

Intervista a MONA LISA TINA di Francesca Di Giorgio

Una camminata silenziosa, al buio, su una “passerella” lastricata di vetri rotti. Tra Te e me, la performance che ha chiuso la prima giornata del Festival, alla Cappella dell’ex Ospedale San Paolo di Savona, è un momento di condivisione molto intimo e che hai reso in qualche modo rituale facendoci pensare che quella non fosse la prima volta che ci vedeva raccolti ed uniti intorno ad un altare laico…
La Cappella dell’ex Ospedale Civile di San Paolo è un luogo pregno di sacralità; chiunque, attraversandola, può avvertire un’atmosfera estremamente intensa di speranza e di pace.
Nella performance Tra Te e me ho voluto celebrare alcuni principi cardini su cui credo sia incentrata la Vita stessa e nel preservarla essi accolgono: la dimensione di cura e di conforto tra gli individui, il dialogo profondo, l’inclusività, la capacità empatica di comprendere il dolore e la sofferenza dell’Altro.
In linea generale sono convinta che appartenga alla storia dell’uomo il desiderio di stringersi attorno ai propri simili per condividere esperienze su più livelli di profondità, negative o positive che siano.
L’altare, come metafora del Corpo di Cristo, ha rappresentato nel mio intervento un segno di unione e di tavolo simbolico attorno a cui, spontaneamente, si sono riuniti i “commensali/fruitori” coinvolti più o meno consapevolmente in un “Pensiero” che ne ha valorizzato le risorse e le potenzialità di ciascuno.

Inclusione ed accoglienza del prossimo sono profondamente radicate nella tua sensibilità così come l’utilizzo di un linguaggio delicato, proprio come le frasi che  sussurri all’orecchio di persone sconosciute durante la performance Tra Te e me
È assolutamente come descrivi! In linea generale, tutta la mia indagine artistica accoglie riflessioni sui temi universali dell’identità e dell’incontro profondo con l’altro; istanze emotive importanti che definiscono il dialogo e il confronto autentico con il nostro prossimo oltre ogni tipo di differenza legata alla cultura di appartenenza, all’etnia, all’orientamento sessuale, all’età e al credo religioso.
Durante lo svolgimento dell’azione mi sono avvicinata ad ogni presente sussurrandogli parole di amorevole gentilezza e di conforto, parole dettate dall’intensità della comunicazione silenziosa dei nostri sguardi.
Nonostante la realtà contemporanea si riveli sempre più violentemente incomprensibile e fragile, ho desiderato anche soltanto per il tempo della performance, ricordare ai presenti che siamo individui unici, preziosi e irripetibili nella nostra complessità. 

Le fragilità e le sofferenze delle persone sono il perno del tuo lavoro di artista ed arte terapeuta. L’installazione che fa da “pala/fondale” della performance nella Cappella dell’Ex Ospedale ne è una testimonianza. Di cosa si compone e come hai realizzato questo lavoro?
Nella performance Tra Te e me, per la prima volta in assoluto, ho pensato di integrare nell’installazione comprendente il mio intervento alcuni disegni, opportunamente rielaborati, presi da una selezione di immagini prodotte da pazienti (adulti e bambini, provenienti da diversi Paesi del Mondo) che ho seguito in quindici anni di lavoro come arte terapeuta, all’interno di differenti contesti. Sul piano più squisitamente concettuale e trattandosi di un intervento site-specific, aspiravo a far emergere altri significati del dolore, a ribaltarne le sue prospettive legate spesso all’incomunicabilità culturale e religiosa tra gli individui per suggerire, anche solo per la durata della performance, l’alternativa simbolica di una politica di cambiamento. Un cambiamento dove il perdono consapevole, il dialogo, l’inclusione sociale e la dimensione di cura e conforto rappresentano gli unici eccezionali strumenti umani in grado di ripristinare senso e obiettività ai nostri giorni.