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Francesca Romana Pinzari

Francesca Romana Pinzari

Francesca Romana Pinzari è nata a Perth (Australia), nel 1976. Vive e lavora a Roma. Lavora con video, installazione, performance, scultura e pittura.
La sua ricerca parte dal corpo per parlare d’identità fisica, culturale, politica e religiosa.
Concetti come la violenza domestica, diversity e radici culturali vengono affrontati con un approccio di stampo performativo che porta l’artista alla realizzazione anche di manufatti scultorei, pittorici o installativi di diversa natura a seconda del progetto espositivo.
I suoi lavori recenti parlano di Natura e Ambiente, raccogliendo lei stessa i rovi spinosi che utilizza per costruire sculture e installazioni che trasforma, successivamente, attraverso un procedimento alchemico.

Intervista a FRANCESCA ROMANA PINZARI di Francesca Di Giorgio

Ti amo troppo, la performance con cui hai aperto il Festival in concomitanza della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne (25 novembre), mette al centro un tema d’attualità attraverso una performance che ricorda quanto la violenza, ancor prima che fisica, arrivi a toccare le corde del linguaggio e se ne appropri nella maniera più subdola…
La sottile linea di confine tra una relazione amorosa molto passionale ed una tossica è difficile a volte da delineare. Complici di questa confusione sono alcuni stereotipi e credenze riguardo l’amore che derivano da una cultura di stampo patriarcale che pervade ogni campo a cominciare dalla letteratura.
Concetti come il possesso, la gelosia, l’attaccamento non sono visti in maniera totalmente negativa e spesso suscitano un fascino ed un’attrattiva anche nelle loro forme più estreme e pericolose. La mia performance ti amo troppo gioca proprio su queste dinamiche, le azioni si svolgono in tempi diversi durante i quali utilizzo una serie di frasi emblematiche di forte impatto emotivo. Nella prima azione, mi avvicino agli spettatori dicendogli frasi che sono al limite tra passione e violenza o tra amore e possesso.
Una frase come “tu sei mia” ha molte sfaccettature e in determinati contesti potrebbe essere addirittura piacevolmente accolta ma, se detta con voce perentoria, assume tutto un altro significato.
Nella seconda fase, porto in dono delle scatoline rosse dicendo alle persone che le ricevono parole d’amore, all’interno delle scatole le persone trovano un braccialetto fatto in filo spinato con una frase scritta in corsivo su un cartiglio. Le frasi, ognuna diversa, sono molto dure e spesso farcite di insulti volgari e parolacce, e sono state raccolte da una serie di dialoghi che ho avuto con donne che hanno subito violenza fisica o psicologica.

Le spine dei fili di ferro con cui avvolgi le frasi di ti amo troppo tornano nella mostra Archeologie del contemporaneo. Svelamenti al Museo Archeologico di Savona nell’opera Mad A***T You in cui inserisci delle spine su una potenziale “arma”, un oggetto di uso comune che serba in sé una carica di violenza inespressa. Anche in questo caso esplori lo slittamento tra i concetti di innocuo e dannoso…
Tratto spesso il tema della violenza nei miei lavori sotto molteplici punti di vista, in questo ciclo, in particolare, parlo della violenza potenziale che hanno molti oggetti di uso comune.
Alcuni strumenti domestici nascondono al loro interno un certo potenziale di brutalità a volte recondito, a volte già visibile nella loro forma e immediatamente associabile a situazioni delittuose.
Se si pensa ad un coltello, una falce, una sega o un martello hanno tutti uno scopo e un utilizzo innocuo ma anche solo la forma di questi oggetti può ricordarci che può esserci un utilizzo pericoloso. Con un intervento artistico sull’oggetto elimino e depotenzio la sua pericolosità, rendendolo innocuo. A volte cristallizzo gli oggetti in modo che la bellezza dei cristalli contrasti con l’aspetto violento dello strumento e che diventi difficile da utilizzare.
Nell’opera MAD A***T YOU ho scelto di assemblare delle spine aguzze su un vecchio coltello da macellaio dall’aspetto minaccioso, le spine non aggiungono bellezza ma lo rendono impossibile da impugnare.

Le asperità della materia cristallina, con cui lavori da tempo, sono presenti sia al Museo Archeologico, nell’installazione Cosa eravamo come saremo, sia in galleria Gulli Arte dove, insieme alle artiste Camilla Marinoni e Alice Padovani, la riflessione si fa sempre più stringente sul ruolo della Natura e i suoi alterati equilibri…
Un altro aspetto presente nel mio lavoro è il rapporto dell’uomo con la natura, una natura talmente perfetta da autogenerarsi.
Da questo concetto sono partiti i miei primi esperimenti di cristallizzazione con le opere dal titolo Natura Naturans, del 2016, che si sono sviluppati, poi, in numerosi cicli di produzione assumendo, di volta in volta, sfaccettature e significati diversi.
Riproduco, in piccolo, nel mio laboratorio, un procedimento che esiste in natura.
Per ottenere dei cristalli di questa grandezza servono ripetuti passaggi e processi piuttosto lunghi, che ripeto per mesi con costanza in un lento rituale alchemico.
Il lavoro Cosa eravamo come saremo nasce in maniera site specific per il Museo Archeologico della Fortezza del Priamar. Ho fatto cristallizzare delle ossa animali e le ho allestite negli scavi che hanno portato alla luce le sepolture del I secolo.
Gli spettatori, camminando sulle passerelle sopra agli scavi, vengono a prima vista attratti dallo scintillio e dal blu intenso dei cristalli per poi scorgere le ossa abbandonate come dei resti di antichi banchetti o allestite come in un rituale sacro.