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CONNEXXION, 20 – 27 aprile 2024: sinossi progetti

20 › 27 aprile 2024

CONNEXXION
Festival Diffuso di Arte Contemporanea

…per essere liberi. Tra identità e memoria

A cura di Livia Savorelli

performance | talk | mostre | laboratori | installazioni

SAVONA, 20 – 27 aprile 2024
Piazza Martiri della Libertà | ex Carcere Sant’Agostino | Fortezza del Priamàr

ARTISTI:
Alessio Barchitta, Davide Dormino, Rocco Dubbini, Armida Gandini, Federica Gonnelli, Lorenzo Gnata, Monica Gorini, Carla Iacono, Silvia Margaria, Gianni Moretti, Giulia Nelli, Filippo Riniolo

 

ALESSIO BARCHITTA

CAPPELLA EX CARCERE SANT’AGOSTINO
Noi andremo in paradiso perché all’inferno ci siamo già stati

Uno dei due interventi di Alessio Barchitta all’ex Carcere Sant’Agostino si sviluppa nella Cappella, un luogo di preghiera/speranza/redenzione morale che l’artista, in fase di sopralluogo, vede contaminato da residui di guano, rilasciati da piccioni entrati nello stabile.
Il collegamento con la serie SHIT HAPPENS (cui Barchitta lavora dal 2020 e che vede come materiali utilizzati proprio il guano di piccioni e colombi, unito alla resina) appare da subito ideale per una riflessione sulla monumentalità, ma anche sulla realtà che distrugge il simbolo, e sulla libertà che passa da una temporalità giudiziaria, che si scolla dal perdono del credo. Due facce della stessa medaglia che oggi perdono la loro monumentalità. La realtà ha superato la monumentalità del suo opposto simbolico: la colomba.
SHIT HAPPENS riproduce la parte frontale della mensa di un altare barocco, che raffigura la Madonna con le anime purganti, e parti delle decorazioni a parete della Chiesa delle Anima del Purgatorio di Barcellona Pozzo di Gotto (paese d’origine dell’artista). A prima vista i diversi elementi si presentano sinuosi nei decori e arcaici nel materiale, per un incontro con lo spettatore tutto basato sull’estetica. Questo primo dato è caratteristico del lavoro di Barchitta. L’opera infatti risulta familiare, interagendo nell’immediato con chi la osserva che, senza troppi interrogativi, rimanda ad un oggetto tipico della cultura popolare: un altare votivo. Questa prima interazione, semplice e spontanea, è un tassello fondamentale per innescare una serie di associazioni che improvvisamente entrano in contrasto con il materiale di cui è composta l’opera: guano di piccioni/colombi e resina.
L’iconografia dell’altare, che raffigura le anime purganti in atto di preghiera tra le fiamme, nell’attesa del loro sconto di pena, diventa estremamente reale se messa a confronto con una scritta ritrovata in una delle celle: “noi andremo in paradiso perché all’inferno ci siamo già stati”.

CELLA EX CARCERE SANT’AGOSTINO
Eterotopìa

Eterotopìa è il fenomeno per cui si originano stimoli di attività funzionale in sede diversa dalla normale.
Nella cella si configura un’illusione che porta il paesaggio esterno, aperto, all’interno di uno chiuso. Al suo interno, l’opera Kick me di Alessio Barchitta: una grande tenda circoscrive uno spazio, sopra una serie di stampe riporta le immagini di cinque bunker del secondo conflitto mondiale, costruiti sulla costa, nel territorio di appartenenza dell’artista. Questi sorgono alla foce di due torrenti che delimitano i confini geografici del comune dove Barchitta è cresciuto. All’interno, una distesa di prato sintetico, proveniente da uno dei due torrenti, porta con sé gli odori e l’erba tipica di quel territorio. Sopra il tappeto, un oggetto dall’aspetto comune: un pallone da calcio. I materiali ne negano la consueta funzionalità, lasciando al fruitore il desiderio di un gesto irrealizzato. Se lo spettatore dovesse calciare il pallone, rischierebbe di farsi del male. L’estetica apparentemente disimpegnata è in contrasto con la materia: agglomerati di piastrelle, vecchi rivestimenti d’interni, frammenti di un abitare confortevole che, con amara ironia, si mostrano come possibile strumento di svago e privazione.
Quale gioco all’interno di una cella adempie alla sua funzione ludica? Qual è il confine che delimita il nido e l’approdo del rifugiato?

DAVIDE DORMINO. SEMI

SPECIAL PROJECT. Fortezza del Priamàr

Semi è uno degli Special Project della seconda edizione di CONNEXXION, un progetto site-specific ideato da Davide Dormino per l’area esterna della Fortezza del Priamàr, che sarà presentato il 25 aprile in contemporanea a Savona (R)ESISTE.
L’opera, in argilla cruda, verrà realizzata in modo corale e partecipato dall’artista, coadiuvato da una classe dell’Istituto Artistico Arturo Martini, nei giorni precedenti il 25 aprile, in un laboratorio della durata di tre giornate realizzato in collaborazione con il Museo della Ceramica di Savona.
Una citazione del poeta greco Dinos Christianopoulos, scomparso nel 2020 – “Hanno provato a seppellirci non sapevano che eravamo semi” – prenderà forma attraverso 49 lettere alte circa 80 cm ed occuperà uno spazio di 7 metri x 7. L’opera che dà forma ad uno statement potentissimo e sempre attuale, legato alla resistenza in senso universale, rivisita anche l’atavica rivalità tra i genovesi, che costruirono l’imponente fortezza, e i savonesi.
L’installazione Semi si colloca a pieno titolo nelle riflessioni portate avanti dal Festival sin dalla sua prima edizione, legate ad un’evoluzione dei canoni legati alla monumentalità (un’opera orizzontale, godibile dall’alto, la cui “durata” è decisa da fattori esterni come quelli climatici, essendo essa destinata ad essere riassorbita dal terreno) e alle diverse modalità di preservazione della memoria.
L’opera è concepita come intervento temporaneo in quanto destinata – in funzione del meteo, dell’umidità del terreno e di una serie di variabili esterne (getti dell’impianto di irrigazione, ad esempio) – a modificarsi nel corso dei giorni, fino al completo riassorbimento nel terreno.

ROCCO DUBBINI

CELLA EX CARCERE SANT’AGOSTINO
Sognando fumo

Sognando fumo di Rocco Dubbini è un progetto site-specific pensato per l’ex Carcere Sant’Agostino di Savona, all’interno del quale vennero rinchiuse storiche personalità antifasciste come Ferruccio Parri, Carlo Rosselli e dove fu imprigionato, nel 1925 e nel 1941, Sandro Pertini.
Il luogo individuato dall’artista è la camera detentiva provvisoria di sorveglianza, dove vengono realizzati due interventi: un disegno su carta di 140×100 cm circa, trasferito su parete, e un’installazione di circa 30 pipe di terracotta applicate a muro.
Il grande disegno, realizzato in bianco e nero, è la riproduzione del progetto pensato per il Museo Sandro Pertini e Renata Cuneo e rappresenta una grande Pipa dal cui fornello nasce un fiore.
La Pipa, elemento indissolubilmente legato alla figura di Sandro Pertini, attraverso l’immagine del fiore cita un aneddoto di speranza che lega Pertini alla figura di Antonio Gramsci, con il quale condivise la reclusione nel carcere di Turi.
Le pipe di terracotta, attaccate a parete, come sospese, attraverso un sostegno trasparente, saranno il risultato di due laboratori didattici che si svolgeranno presso il Museo della Ceramica di Savona intorno al tema della libertà. La loro composizione a parete assumerà la forma della nuvola di fumo.

ARMIDA GANDINI

CELLA EX CARCERE SANT’AGOSTINO
Il numero 34 e il numero 27

Nelle prigioni l’aria è densa. Armida Gandini pensa di colore rosso la concentrazione spaziale della cella. Il rosso della resistenza e dell’energia che implode, segno di urgenza ma anche di contagio, qui simbolizzato dal cordone intrecciato che fuoriesce dalla cella: un prolungamento del corpo, una richiesta di aiuto. Ma anche un invito ad entrare e a sostare per vivere l’esperienza del luogo reale della prigione, attraverso l’esperienza della prigione possibile. Ossia la prigione letteraria, vissuta e narrata. Una voce accoglie lo spettatore raccontando una storia fatta di tante storie, quella della detenzione di Edmond Dantes e del suo incontro con l’abate Faria nel Conte di Montecristo di Alexander Dumas, il numero 34 e il numero 27 del titolo. La negazione del nome proprio in favore di un numero consente di estendere il racconto ad altre storie, siano esse reali o di finzione; un collage di brani provenienti dalla letteratura del carcere e dal carcere: più ne leggiamo e più troviamo le chiavi per interpretare quei luoghi dell’esclusione, ma anche la Storia in senso più generale. Gandini unisce i frammenti, mette a confronto interpretazioni ed esperienze provenienti da contesti diversi per arrivare ad una percezione più complessa della realtà, che solo la pluralità dei sentimenti può restituire. L’incontro salvifico di Dantes con Faria è l’incontro con il maestro, a partire da quello di Sandro Pertini con Antonio Gramsci nel reclusorio di Turi, illuminante e fecondo. Incontro del quale si sente l’urgenza in un mondo in cui è ancora troppo flebile la prospettiva di libertà.

FEDERICA GONNELLI

CELLA EX CARCERE SANT’AGOSTINO
Resta ciò che cambia. Ciò che cambia, resta

Con Resta ciò che cambia. Ciò che cambia, resta, due progetti distinti accomunati dalla riflessione sull’indeterminatezza, si uniscono in un’unica installazione all’interno della cella.Nell’indeterminatezza della società resta ciò che cambia, ciò che ha la capacità di reagire al cambiamento e nella mutevolezza ciò che cambia, ciò che ha valore, resta.
Nell’opera l’indeterminatezza, il cambiamento, la mutevolezza sono simbolicamente e materialmente rappresentati dall’azione del calore e del fuoco, dal liquefarsi a causa del calore e dal fatto che non può esserci fuoco o cenere nello stesso momento, o c’è l’uno o c’è l’altra. In Resta ciò che cambia. Ciò che cambia, resta calore e fuoco pur distruggendo, creano qualcosa. In quel qualcosa gli individui possono ritrovare una o più delle molteplici sfaccettature che formano l’identità, una memoria privata o comune e sviluppare un processo di identificazione personale e collettiva. I vari elementi dell’installazione di Federica Gonnelli, le cose, sono metafora del vivere, attorno ad esse converge l’attenzione di tutti. L’indeterminatezza di questi elementi ha funzione di mezzo di contrasto attraverso il quale guardare più nettamente il nostro quotidiano e mettere in luce più chiaramente il nostro presente, nonostante tutto questo avvenga in negativo, per assenza di determinatezza e la frattura tra le possibilità dell’essere non permetta un immediato riconoscimento.
Nell’opera il tempo del riconoscimento è posticipato più avanti, acquistando una centralità in quanto processo di conoscenza. Il senso viene così a trovarsi nel tempo, che precede il riconoscimento, nell’esperienza della durata come antidoto all’eccessiva velocità di consumo della nostra era. Il senso è nella stratificazione di trasparenze e deve lasciarsi attraversare. La sovrapposizione in profondità contrasta l’eccessiva sovrapproduzione e trasparenza della società contemporanea, nella quale linguaggio e immagini risultano appiattiti da uno scambio accelerato di informazioni.
Il movimento dell’osservatore verso l’installazione, l’attraversamento mentale e fisico, implica il legame tra l’opera e il contesto. L’installazione può essere ogni volta ricostruita a seconda dello spazio entro cui va a posarsi e ci offre la possibilità di affrontare questa epoca di smaterializzazione, dominata dal virtuale, stabilendo una relazione con il luogo, le persone a esso legate, la storia e gli altri osservatori, rispondendo alla precarietà della nostra società.

LORENZO GNATA

CELLA EX CARCERE SANT’AGOSTINO
Racconti di terra

Sono motivi vegetali quelli che si palesano varcando la soglia della cella. Un limite che ci separa dalla dimensione del possibile, celata nell’oscurità.
Linee tracciate da Lorenzo Gnata utilizzando una penna 3D, strumento di cui si avvale per dare autonomia al segno, rendendolo materia e liberandolo nello spazio. Queste originano da terra, risalendo il vuoto in torsioni e volute, per poi estinguersi a mezz’aria. Entità ibride vincono così le leggi della gravità e del reale, in una fusione umano-vegetale che tenta di ricucire le ferite di un’epoca dilaniata, violentatrice di ogni forma vivente.
Occorre ripensare le logiche dell’esistenza, creando legami inediti e inaspettati, parentele orizzontali, luoghi di rifugio per preservare un’esistenza multi-specie. Occorre, per usare le parole di Donna Haraway, “restare a contatto con il problema”, per resistere e sopravvivere in un tempo crudele e devastato come il nostro.

MONICA GORINI

CELLA EX CARCERE SANT’AGOSTINO
Il giardino dentro. Poetica della libertà

Nella visione di Monica Gorini in Il giardino dentro. Poetica della libertà la voglia di vivere del carcerato e la sua volontà di mantenersi fedele alla propria interiorità si trasforma in un giardino rigoglioso, rappresentante una rigenerazione mentale del prigioniero vòlto ad immaginare nuovi scenari di libertà.
Grazie all’installazione immersiva – ideata anche con l’ausilio di persone non vedenti o ipovedenti, per amplificare il suo essere esperienza inclusiva – la cella dell’ex Carcere Sant’Agostino si trasforma in spazio poetico-esperienziale, in cui si attiveranno, grazie ad elementi di “Azione diretta”, stati d’animo e stimoli di flussi sensoriali.
Un orizzonte di informazioni tattili e olfattive innesca un gioco percettivo e cromatico, monocromatico a dire ilvero, tra il virtuale e il reale, perché il luogo sarà percorso da un’illuminazione appena percepibile e direzionata, permettendo al fruitore di intravedere ma senza svelare. Il colore sensoriale verde è strumentale alla funzione comunicativa di un luogo-soggetto che non sarà mai completamente buio, ma costruito anche attraverso la qualità fisica della luce. Lo spazio angusto e costrittivo diventa un giardino, fresco, umido, profumato in un coinvolgimento corporeo e percorso da sonorità eloquenti per innescare un flusso emozionale.
Pensata per essere un’esperienza immersiva, l’installazione accoglie, avvolge, trasforma tramite l’ingaggio dei sensi, sollecitati in una interconnessione percettiva che a tratti presenta un aspetto sinestesico.
Le interconnessioni sensoriali finiscono per diventare interconnessioni mentali ed emozionali in un ribaltamento delle premesse: buio – luce guida, sopraffazione – forza delle idee, instabilità generale – equilibrio consapevole. Le leggi invisibili della natura possono aiutare l’uomo a far fiorire il suo giardino interiore e prendersene cura per trovare la forza e la determinazione di rimanere fedele ai propri ideali, anche in condizioni esterne completamente sfavorevoli.
L’installazione, realizzata utilizzando materiali eco sostenibili, è stata resa possibile grazie alla collaborazione di due importanti partner tecnici: l’azienda Dino Zoli Textile di Forlì ha fornito i tessuti con cui sono stati realizzati gli elementi tattili, mentre la dimensione olfattiva è stata curata da Christopher Dicas Haute Parfumerie.

CARLA IACONO

CELLA EX CARCERE SANT’AGOSTINO
Educazione alla memoria

Educazione alla memoria sottolinea come perpetuare la memoria e ricercare le proprie radici sia necessario per mantenere la libertà conquistata dalle precedenti generazioni. Il progetto di Carla Iacono include quattro installazioni, ciascuna legata alla narrazione, sommando il potere di immagini e scrittura per stimolare riflessioni.
La zona grigia, titolo ripreso da Primo Levi, è in memoria di Giuli, zio dell’artista, ucciso a Mauthausen-Gusen: una tavola con una coperta appartenuta allo zio e la copia di un rasoio con cui è stato sgozzato un kapò è essa stessa area grigia che confonde la percezione, negando la semplicità del giudizio morale. Il libro d’artista cita Tu passerai per il cammino di V. Pappalettera, in cui Iacono ha ritrovato traccia dello zio.
Rebecca e Rosaspina cita il romanzo di J. Yolen, Rosaspina, riscrittura della fiaba Bella addormentata nel bosco, ambientata nelle foreste della Germania e metafora dell’Olocausto.
La stanza dei giochi ricorda il recupero di 25 bambini sopravvissuti all’Olocausto in una villa nella campagna del Surrey, con la supervisione di Anna Freud. È metafora del percorso riabilitativo in cui stati d’animo contrastanti si alternano in una lotta interiore verso un nuovo equilibrio.
Musica per Stanisław si ispira alla storia di S. Grzesiuk, prigioniero a Mauthausen-Gusen, che riuscì ad aiutare altri compagni grazie alla musica. Iacono utilizza le rappresentazioni dei contrassegni usati per classificare i prigionieri, applicandoli a collage su spartiti tedeschi vintage.

SILVIA MARGARIA. BANDITE

SPECIAL PROJECT. Piazza Martiri della Libertà

Il progetto Bandite di Silvia Margaria è dedicato ad alcune partigiane del savonese – Clelia Corradini, Ines Negri, Franca Lanzone, Paola Garelli, Luigia Comotto – e alle Suore “Maria bambina” dell’ospedale Santa Corona di Pietra Ligure, che sono testimonianza del ruolo fondamentale delle donne nella lotta di liberazione e sono simbolo delle tante martiri per la libertà. Durante i riti di commemorazione dei caduti della Resistenza si eseguono, davanti al cippo che ricorda il sacrificio della partigiana o del partigiano, anche gli onori della bandiera: le bandiere in quell’occasione sono tante e diverse, e tutte vengono fatte sventolare con fermezza e trasporto.
Il progetto Bandite si compone di una serie di bandiere, una per ogni partigiana, create in modo da poter essere maneggiate da un gruppo di sbandieratori. Gli sbandieratori nacquero nel Trecento come “segnalatori” durante il periodo di guerra. La bandiera era simbolo dell’orgoglio cittadino, ma esprimeva anche un’esigenza strategica perché attraverso i diversi e molteplici colori, poteva essere un punto di riferimento e riconoscimento durante il combattimento. Il compito degli sbandieratori era infatti quello di comunicare con i reparti attraverso lanci e sventolii, indicando, secondo un codice ben preciso, le fasi salienti della battaglia. Gli sbandieratori dovevano essere fedeli, discreti ed ingegnosi, e se venivano catturati dai nemici dovevano custodire gelosamente i segnali del codice della danza, mantenendo il segreto fino alla morte. La lotta partigiana è nuda esperienza esistenziale animata da un’elementare spinta di riscatto umano, che ha richiesto l’incondizionata e totale adesione di uomini e donne anche loro fedeli, discreti ed ingegnosi, che dovevano intendersi in silenzio e agire all’unisono, nascondendosi e nascondendo informazioni, persone, armi, a costo della vita.
Bandite si sviluppa nella forma di una performance messa in atto da sbandieratori professionisti che, attraverso una coreografia studiata, muovono e “attivano” le bandiere Bandite. Da sempre la bandiera è stata utilizzata per rappresentare un’ideologia, un credo, un’appartenenza. La bandiera è simbolo di valori e la danza messa in atto dagli sbandieratori può diventare simbolicamente un nuovo processo di valorizzazione di storie nella Storia.

GIANNI MORETTI

CORTILE INTERNO EX CARCERE SANT’AGOSTINO
Anna – Monumento all’Attenzione (promessa)

Anna – Monumento all’Attenzione è un intervento di arte ambientale partecipato, aperto e inclusivo, ideato da Gianni Moretti e dedicato ad Anna Pardini, la più giovane vittima dell’eccidio nazifascista avvenuto a Sant’Anna di Stazzema il 12 agosto 1944.
Inaugurato il 25 aprile 2018, il progetto è tuttora in corso d’opera e si sviluppa lungo la mulattiera che da Sant’Anna conduce a Valdicastello Carducci. È un monumento che non si impone alla vista: va cercato, curato e riportato alla luce come la memoria stessa. Si compone di 26.919 elementi, a forma di cardo, ognuno dei quali simboleggia un giorno non vissuto della vita di Anna Pardini, dal momento della sua morte al giorno dell’inaugurazione del monumento.
L’opera, tenuta in vita da tutte/i coloro che vorranno partecipare alla sua costruzione, piantando uno o più cardi lungo la mulattiera, è nata da due necessità: ricordare e riparare, su un piano simbolico, quello che l’eccidio ha distrutto, mettendo l’osservatore nella posizione di immaginare quel percorso di vita che non ha potuto manifestarsi, quello di Anna come quello di tutte le altre vittime. Il monumento così immaginato è in grado inoltre di cambiare il proprio statuto, accompagnando il fruitore da una condizione di osservazione a una di partecipazione attiva, consapevole e attenta. L’attenzione è un processo cognitivo che richiede alcune condizioni specifiche, tra queste il fatto che il soggetto viva uno stato di prossimità e di misurabilità con l’oggetto cui presta attenzione, senza che questo venga percepito come distante, pericoloso o fuori della propria scala.

L’artista ha pensato alla possibilità che il lavoro potesse allontanarsi temporaneamente dal territorio di S. Anna per tornarvi in altra forma e con altra energia. Con la promessa, gli elementi costitutivi sono appoggiati sul pavimento, dialogando con lo spazio circostante, disposti secondo dei cerchi concentrici che ricordano il movimento di un mandala. L’installazione così concepita è una forma destinata alla disgregazione, temporanea, in cui gli elementi a terra sono lasciati in deposito temporaneo in un altro luogo. Chiunque potrà prendere uno degli elementi se lo vorrà, ma questa scelta implica una promessa: entro un anno dovrà andare a S. Anna per installare il cardo lungo la mulattiera per la quale è pensato.

GIULIA NELLI

CELLA EX CARCERE SANT’AGOSTINO
Tu che ne sai

L’installazione Tu che ne sai realizzata appositamente da Giulia Nelli per l’ex carcere Sant’Agostino di Savona affronta il tema dell’incomunicabilità tra le persone, del sentirsi incompresi e del barricarsi nella propria interiorità, considerata uno spazio protetto e rassicurante, nel quale trascorrere la quotidianità senza veri legami con il territorio e il tessuto sociale circostante. L’esperienza delle persone che hanno vissuto nella condizione di costrizione fisica della prigione può far riflettere sull’importanza della libertà interiore, senza la quale tutte le altre libertà non servono, e può offrire uno stimolo a sfruttare in chiave positiva le situazioni che si presentano, dando la giusta enfasi alle cose sperate, perché i sogni non hanno sbarre.

FILIPPO RINIOLO

CAPPELLA EX CARCERE SANT’AGOSTINO
SELEZIONI. PERFORMANCE

Il progetto SELEZIONI di Filippo Riniolo prende le mosse dal terribile episodio della selezione ad Auschwitz, narrato da Primo Levi in Se questo è un uomo. Di fronte a un ufficiale nazista, i prigionieri correvano mentre quest’ultimo, in pochi istanti, decideva del loro destino, spostando semplicemente a destra o a sinistra la scheda che gli veniva consegnata.
Un atto di banale burocrazia che tracciava la linea tra la vita e la morte, per bilanciare gli inumani conti del campo. Questo, tuttavia, costituisce il fulcro della riflessione di Hannah Arendt sulla “banalità del male”, che non risiede solo nel mostro al potere, ma si manifesta anche in queste azioni quotidiane alle quali dobbiamo opporci con fermezza.
A questo gesto – terribile nella sua disarmante semplicità – Riniolo sovrappone un’altra forma di gestualità, quella dell’interfaccia tecnologica dei social media, allo scopo di farci riflettere su quanto la follia dei campi di sterminio non sia lontana da noi.
App social come le storie di Instagram e le app di incontri ci impongono continuamente di “selezionare” le persone in base a pochi dati sintetici. E il nostro gesto le colloca a destra o a sinistra, a seconda che ci piacciano o meno. Questa sovrapposizione solleva interrogativi nei fruitori sul fatto che anche loro, come tutti noi, compiamo un gesto che invece di alimentare le relazioni, disumanizza. L’app che scorre sul cellulare dell’artista è stata programmata in modo che solo i nomi delle otto persone che si sono salvate scorrano a destra, mentre tutti gli altri, morti nei campi di sterminio, scorrano a sinistra. Proprio come su Tinder.
Quando le persone vengono ridotte a schede, a numeri, si crea il presupposto per un lager. E lo notiamo in quanto siano disumanizzanti i bollettini di guerra con le cifre dei morti che ogni giorno sentiamo.
L’altro elemento protagonista dell’opera è la voce. L’opera accompagna il gesto di scorrere tutti i 1022 nomi e le relative date, proclamandoli ad alta voce. La lenta lettura di tutti i nomi evoca un rosario laico. I nomi si perdono nella loro cantilena, come un mantra che fa perdere il significato delle parole e si concentra solo sul suono. Tuttavia, la lettura di questi nomi restituisce anche l’elemento dell’ordine di grandezza: possiamo comprendere una morte, una decina di morti, ma solo ascoltando per mezz’ora i nomi di tutti i deportati possiamo davvero percepire quanti siano mille morti. Poiché sono elencati in ordine alfabetico per cognome, per diversi minuti si sente lo stesso cognome, rivelando l’enormità delle famiglie spazzate via. La voce, in questo caso, svolge altre due funzioni essenziali: ribalta il campo di sterminio, in cui il nome veniva cancellato e sostituito da un numero sul braccio. Ma, soprattutto, la voce svolge la funzione di memoria: la tradizione orale, la memoria dei popoli, si è tramandata proprio attraverso la voce, nel proclamare e ripetere nomi e genealogie.
Il tappeto sonoro della performance è “rosamunda”, una marcetta allegra con la quale i detenuti entravano e uscivano dal campo di concentramento. Nella sua ripetizione trasmette tutto il contrasto fra l’allegria della musica e l’annuncio di morte che sottende.

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