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Giovanni Gaggia

Giovanni Gaggia. Ph. Michele Alberto Sereni

Giovanni Gaggia è nato a Pergola (PU) nel 1977. Nel 2008 fonda “Casa Sponge”, luogo di accoglienza e rifugio di artisti. Ha partecipato a mostre personali, collettive, progetti di residenza e conferenze su tematiche sociali e politiche. Le sue performance sono state presentate in teatri, gallerie e festival. Nel 2019 apre con una sua performance il padiglione di Beverly Pepper, collaterale della 58a Esposizione internazionale d’arte – La Biennale di Venezia. Nel 2021 esce per la collana Effusioni di Gusto, Maretti editore, Mauro Uliassi incontra/meets Giovanni Gaggia e realizza due personali Ho visto un’alba blu al Museo della Ceramica di Savona e Il tempo se ne va al MUSMA Museo della Scultura Contemporanea di Matera. È il co-fondatore della nuova formazione Gaggia-Dubbini, con la quale si aggiudica il premio Scultura e anche quello di vincitore assoluto della settima edizione del premio Arteam Cup e partecipa alla VIII Biennale di Mosaico Contemporaneo di Ravenna.

Intervista a GIOVANNI GAGGIA di Francesca Di Giorgio

Niente sarà più come prima è l’installazione inserita nel programma inaugurale del Festival. Com’è nato questo lavoro esposto alla Cappella Sistina di Savona? Con chi hai dialogato e, a distanza di tempo, qual è il tuo ricordo più forte di quella esperienza?
Confido che il mio ricamare e il mio tessere raccontino il mio modo di agire: gentile. La mia ricerca personale sta nello smussare le parti spigolose e taglienti del mio carattere a favore della delicatezza. Mi aiutano la quiete e il vivere ai margini. Così mi sono posto, entrando in assoluta punta di piedi e in silenzio, in uno dei luoghi più prestigiosi della città di Savona: la Cappella Sistina. Che come quella di Roma fu voluta dal pontefice savonese Sisto IV. Avvolto e sopraffatto dalla bellezza, rapito dagli affreschi quattrocenteschi e affascinato dalla storia. Il pontefice fece trasformare la precedente sala capitolare del convento francescano in cappella funeraria per i genitori Leonardo Della Rovere e Luchina Monteleone. Il sarcofago è ricoperto di bassorilievi, tra questi il principale dove i santi Francesco e Antonio accompagnano i genitori alla presenza del Bambino in grembo alla Vergine. Dalla sensazione avuta e dalla storia del luogo nasce la mia opera. Una installazione pensata sulla figura della donna e della madre.
L’opera è stata realizzata nel mio laboratorio per sole donne Far Filò un paesaggio contemporaneo con la partecipazione, tra di esse, di alcune profughe scappate dall’Ucraina e ospitate dalla fondazione diocesana di Savona. Dalle parole emerse dal confronto è stata scelta la frase – Niente sarà più come prima – che abbiamo ricamato insieme nella loro lingua. La superficie scelta per agire è una coperta che proviene dalle donne del mio paese, mi è stata donata dopo l’alluvione che ha colpito le Marche il 15 settembre 2022. L’opera si completa con una serie di coperte in lana frollata tante quante le partecipanti al laboratorio, che sono state appoggiate ordinatamente sulle panche della cappella, in attesa di essere prese per avvolgersi nel momento più intimo: quello della preghiera. L’audio è il tassello finale, unisce tutti gli elementi con lo spazio. È una preghiera e ci tenevo si sentisse fin dall’esterno. Sono voci di uomini e donne che, nella primavera del 2020, recitarono per me il Rosario negli ipogei del MUSMA – Museo della Scultura Contemporanea di Matera. Le voci si intervallano a poche note del pianoforte a coda di Diamanda Galás. Suona e canta Supplica a mia madre di Pier Paolo Pasolini, otto parole che emergono dalla poesia: Tu sei la sola al mondo che sa.
Porto con me la frase che lapidaria segna il tempo e quindi la contemporaneità, per nessuno di noi niente sarà più come prima. Oggi, mentre scrivo, è il 30 ottobre, 23 giorni fa un fatto orribile ha generato, in un altro luogo del mondo, l’ennesimo conflitto bellico. Save the children ieri ha comunicato che il numero di bambini uccisi a Gaza, in sole tre settimane, ha superato il numero di quelli che ogni anno hanno perso la vita nelle zone di conflitto del mondo dopo il 2019: 3195. Niente sarà più come prima.

Per te non è la prima volta con la comunità savonese… Il primo contatto e collaborazione risale al post pandemia, nel 2021, quando con Ho visto un’alba blu entravi nel Museo della Ceramica di Savona con una installazione Cuore a Dio, mani al lavoro composta da 125 cuori in ceramica realizzati in occasione della residenza tenutasi, tra fine novembre e inizio dicembre 2019, all’Antico Giardino Laboratori di prossimità di Albissola Marina (SV) su invito di Livia Savorelli e dell’Associazione Culturale Arteam. Com’è stato il ritorno a Savona rispetto a quell’esperienza?
Il viaggio iniziato nel 2019 non si è mai interrotto. Insieme, pur se a distanza, abbiamo superato l’evento pandemico. Il mio calco del cuore, grazie a Caritas e a LaboratorioL, è riuscito a passare di casa in casa. In quel momento la mia opera è sconfinata da Albissola Marina a Savona. Io da lì non me ne sono mai realmente andato fino a gennaio 2023. È un tempo lunghissimo, ma questo è il senso della mia pratica. Non mi interessa viverla diversamente. Ho il desiderio di tornare, se e quando accadrà potrò risponderti.

Lavorare a stretto contatto con le persone e a tu per tu con le comunità interagendo con esse e tessendo relazioni reali. In sintesi arte come memoria civile e pratica sociale. Qual è la prima domanda che ti poni quando ti avvicini ad una nuova comunità di persone da coinvolgere nei tuoi progetti?
Inizio studiando a distanza il tessuto sociale in cui la comunità vive: storia, relazioni, prospettive, motivazioni, necessità. Ho di norma alcuni mediatori culturali che sono il mio filtro e sono il primo incontro del viaggio: in questo lungo cammino dal 2019 al 2023 i primi sono stati Livia Savorelli, curatrice dei due progetti e Marco Berbaldi, Presidente della Fondazione Diocesana di Savona. Successivamente si sono aggiunti Alessio Cotena e Marco Isaia (LaboratorioL). Il primo incontro con la comunità è sempre orizzontale, ci raccontiamo ciascuno il proprio vissuto. Deve essere chiaro fin da subito che l’opera esisterà soltanto se realizzata insieme: per me spesso il risultato finale equivale a un feticcio, il valore più importante e più pregnante è nel processo.