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Laura Pugno

Laura Pugno

Laura Pugno è nata a Trivero (BI) nel 1975. Vive e lavora a Torino.
L’artista esplora da molti anni il tema del paesaggio, letto in relazione ai meccanismi della visione e della percezione, con una prospettiva al tempo stesso sensibile alle tematiche ambientali ed ecologiche, e alla sua natura di costruzione sociale. La sua ricerca si sviluppa in chiave processuale, con linguaggi che spaziano dal disegno alla fotografia, alla scultura, al video.
Nel 2022, ha vinto Sustainable Art Prize, Art Verona con Ca’ Foscari Università di Venezia. Nel 2020, ha vinto la IX Edizione dell’Italian Council promossa dal MIC e nel 2013 il premio Cairo. Le sue opere sono state esposte in mostre personali e collettive, tra cui A Tale of A Tub, Rotterdam, SÜDPOL di Lucerna, Centre d’Art Contemporain di Ginevra, Cittadellarte – Fondazione Pistoletto di Biella, Fondazione Zegna di Trivero, MAGASIN di Grenoble, Forum Stadtpark di Graz, con il quale ha vinto il premio Q-International Spring de La Quadriennale di Roma, MART di Rovereto, MAN di Nuoro, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, Deutsche Bank Wealth Management di Londra, Museo Nazionale della Montagna di Torino, Casa Masaccio di Arezzo, Fondazione del Monte di Bologna. Collabora con la galleria Peola Simondi di Torino.
Ha partecipato a diversi programmi di residenza tra cui MH ART PROJECT di Cognac, Öres Residency Programme, Finlandia, NIDA art Colony, Lituania, Dolomiti Contemporanee di Belluno, CARS di Omegna. Ha co-fondato nel 2007 Progetto Diogene, del quale ha fatto parte fino al 2017. La sua installazione site-specific Primati, 2018, è esposta in permanenza nel Giardino Botanico Saussure a Courmayeur. Dal 2013 insegna all’Istituto Europeo di Design (IED) di Torino.

https://laurapugno.info/

Intervista a LAURA PUGNO di Simone Terraroli

La ricerca di Laura Pugno si focalizza sulla messa in discussione di una visione tradizionale dell’opera d’arte che risulta esito di un’azione e un processo di interazione con gli elementi naturali, in questo modo può analizzare la misura e i metodi con cui l’essere umano si relaziona all’ambiente naturale. La sua azione artistica si concentra sulle modalità con cui si osserva, attraverso l’esperienza estetica definita dell’opera, la Natura e su come tale osservazione sia mutata nel tempo attraverso i cambiamenti culturali e sociali.
La sua ricerca si sviluppa in chiave processuale e, con linguaggi che spaziano dal disegno, alla fotografia, dalla scultura al video, indaga proprio i fattori sociologici e culturali che maggiormente hanno influenzato il modo di determinare non solo le sensazioni e le emozioni, ma anche i giudizi e le critiche che dovrebbero essere necessari all’essere umano nel vivere la sua quotidianità e che, condizionandone la percezione del mondo e il suo comportamento, potrebbero indurre consapevolezze e cambiamenti nuovi.
L’oggetto di questo processo è il paesaggio naturale, elemento su cui da sempre la visione tradizionale del sapere si è maggiormente esercitata e di cui Pugno si fa nuova interprete.

Come definiresti la tua ricerca artistica? Di cosa ti occupi, quali materiali impieghi, quali sono le tematiche di cui parli attraverso la tua arte?
Ti rispondo con una citazione (1), che in modo semplice riassume l’ambito del mio interesse: “Come tutti, sono culturalmente connotato, vedo il fiore solo in parte; il resto del mio campo visivo è occupato da secoli di parole”, scritta da David George Haskell, un biologo e scrittore americano.
Il concetto che emerge esprime quanto il paesaggio naturale sia una costruzione sociale e, attraverso questo, cerco d’indagare e capire l’essere umano nel suo “stato critico” di relazione con il mondo naturale. A tale indagine poi si aggiungono gli elementi naturali che si combinano nella ricerca di una forma finale che manifesti il mutare della materia come, ad esempio, lo è l’acqua e i suoi differenti stati.
Anche l’idea della neve e dell’inverno è cambiata molto nei secoli. Dall’essere temuta, fino al desiderio di ricrearla. Ne sono un esempio tutti i tentativi che ci sono stati nel mondo cinematografico per cercare di simulare una nevicata in maniera sempre più realistica. Fino ad arrivare ai sofisticati algoritmi digitali della Walt Disney che, proprio per la loro accuratezza, aiutano addirittura il mondo scientifico a studiare le valanghe al fine di prevenirle.
Oggi emerge anche il bisogno di parlare della crisi climatica e l’arte è un mezzo per far scaturire un dialogo con il mondo della scienza che offra visioni, consigli e idee per affrontare quella che si può definire la più grande sfida dell’umanità.

Osservando in modo panoramico il tuo percorso di ricerca e le opere che hai realizzato, risulta molto stringente, come hai anticipato, il rapporto con la scienza – ma anche con le altre discipline del sapere umano – in termini di reciprocità di dialettica e scambio di conoscenze. Come si riflettono questi dialoghi nelle tue opere?
È una bellissima domanda, impegnativa nella risposta, perché questo è proprio la mente, il cuore e l’anima di tutta la mia ricerca. Ho lavorato con nivologi, micologi, chimici, biologi e, in generale, con docenti e studiosi di diverse università. Da loro, in modo differente per i singoli saperi che mancano come competenze ad un artista che arriva da tutt’altra formazione, posso ricevere gli approfondimenti specifici e singolari che colmano quelle competenze necessarie a definire le nuove connessioni che si sviluppano poi nell’opera finale.

Parlami ora della tua opera A futura memoria: come è nata e come l’hai realizzata? Come si inserisce nel tuo percorso?
A futura memoria, rappresenta l’inizio di un mio personale archivio della neve.
Quest’opera è anche una visione, un’immagine che anticipa il momento – futuro ma non troppo – in cui la neve non esisterà più, quando cioè le future generazioni non potranno più esperirla.
Tecnicamente è un lavoro di scultura, realizzato d’inverno in alta montagna, versando del gesso ceramico sulla neve che, attraversando gli strati superficiali, si solidifica al suo contatto. Il calco che rimane dopo lo scioglimento ha ogni volta forme diverse e ricorda nell’aspetto un fossile o un prezioso cristallo minerale che parla di sottrazione e dell’unicità della neve. Vuole appunto rendere eterno ciò che, per forze di causa antropica, è soggetto a una vulnerabilità sempre maggiore.
Con un richiamo inevitabile al fenomeno di fusione dei ghiacciai, la scultura, illuminata dai riflessi multicolor della pellicola su cui è appoggiata, sembra già appartenere a un cabinet de curiosités del prossimo futuro.

In che modo dialoga con le tematiche della mostra? Come interpreta i temi del Festival CONNEXXION?
Rispetto ai temi proposti da Connexxion mi sento personalmente più vicina al concetto di memoria, alla sua preservazione e salvaguardia. Il mio lavoro racconta, in uno spazio che, vuoto, interstiziale e invisibile, rimane come traccia originaria di qualcosa che, come la neve, è impossibile da conservare nel suo stato effettivo. La scultura è, nella duplice natura di calco-impronta, un elemento catalizzatore sia del processo naturale avvenuto che della sua registrazione attraverso il mio intervento. Colando il gesso ceramico, con un’azione rituale riempio uno spazio determinato dalla neve che, invece, è sempre unico e irripetibile. Di nuovo è esperienza di un differente approccio tra essere umano e Natura, il cui risultato deve far riflettere chi osserva le mie opere. Se vuoi un riferimento teorico, per tutta la mia ricerca resta fondamentale caposaldo il testo di Georges Didi-Huberman La somiglianza per contatto. Archeologia, anacronismo e modernità dell’impronta (2).

1.David George Haskell, La foresta nascosta. Un anno trascorso a osservare la natura, Torino, Einaudi, 2023
2.Georges Didi-Huberman, La somiglianza per contatto. Archeologia, anacronismo e modernità dell’impronta, Torino, Bollati Boringhieri, 2009