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Attilio Tono

Attilio Tono, ph. Bruno Bani

Attilio Tono è nato a Mariano Comense (CO) nel 1976. Vive e lavora tra Milano e Berlino.
Ha studiato Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, attualmente è docente presso La NABA di Milano e l’Accademia Aldo Galli di Como.
Ha partecipato a residenze in Italia, Austria e Corea ed ha esposto presso numerosi spazi espositivi tra cui MTN (Bologna) MAK (Wien), Chelsea Art Museum (New York), Seoul Art Space Geumcheon (Seoul) Studio1-Kunstquartier Bethanien (Berlin), Kunsthal Charlottemborg (Copenaghen).
Dal 2016 è uno degli artisti aderenti al progetto PILOTE di Berlino.

https://attiliotono.com/

Intervista a ATTILIO TONO di Eleonora Bianchi

Il lavoro di Attilio Tono è un’esplorazione dei naturali processi di evoluzione che si verificano quando sostanze organiche entrano in contatto tra loro. Questo continuo ciclo di mutazione e maturazione dà vita a sculture che si consolidano in un equilibrio instabile, un’imprevedibilità dai toni positivi e propositivi. Le opere di Tono riflettono il fluire del tempo e la trasformazione costante della natura stessa, diventando così un’accurata e rigorosa narrazione di ciò che eravamo, siamo e saremo.

Come hai selezionato le opere in mostra al Civico Museo Archeologico?
La selezione dei lavori esposti è stata guidata da un incontro tra il contenitore, il contenuto del Museo e il mio pensiero. Questa relazione ha orientato la scelta verso quelle opere che meglio si integrano e si connettono con lo spazio espositivo e con i reperti presenti nella collezione. Ho privilegiato quelle opere che mostrano una maggiore affinità e risonanza con l’ambiente circostante, in modo da creare un dialogo interessante e stimolante tra la mia produzione artistica e il contesto museale.

Che genere di dialogo si instaura tra le tue opere e i reperti del Civico Museo Archeologico?
Il dialogo è piuttosto evidente. Ogni reperto porta sulla sua superficie i segni indelebili della sua storia, specialmente del contatto con la terra. Sono tracce del tempo trascorso e delle sostanze che hanno interagito con questi oggetti, con i quali – a prescindere dalla loro rilevanza storica e dal loro significato di testimonianze – si crea un legame materico, estetico e fisico. I miei lavori hanno una componente che si avvicina molto a questi reperti. L’immagine che emerge dalle mie opere non è nulla di nuovo, ma piuttosto qualcosa di familiare, già visto, che riflette il continuum della storia e della materia.

Come scegli e come ti approcci al materiale che utilizzi di volta in volta?
Ho un approccio molto libero alla produzione artistica. Quando un materiale mi trasmette qualcosa è come se mi accordasse il permesso di utilizzarlo, quindi cerco di assecondarlo il più possibile, seguendo le sue potenzialità. I diversi materiali mi parlano della vita, dell’evolversi del mondo, io cerco di entrare nelle dinamiche della nostra esistenza attraverso l’Arte. Il mio processo creativo altro non è che la diretta conseguenza della scelta del materiale, non parto da un’idea specifica a priori, mi lascio guidare dalle possibilità che mi sono concesse da esso. Spesso mi viene chiesto se l’uso del vino nelle mie opere abbia qualche connessione con il cristianesimo o con simbologie religiose. In realtà, devo precisare che non c’è alcun legame di questo genere. Utilizzo il vino perché è un liquido colorato che interagisce in modo affascinante con il gesso, modificandone l’aspetto estetico e formale e alterandone la superficie e la consistenza. La mia scelta di utilizzare il vino è puramente estetica e tecnica, non ho bisogno di rifarmi a simbologie di alcun tipo. Preferisco adottare un approccio libero e aperto nell’utilizzo dei materiali, lasciando che siano essi a guidarmi nella creazione delle mie opere d’arte.

Come affronti la chimica dei materiali nel tuo processo creativo: preferisci seguire un approccio empirico o ti avvali di uno studio scientifico più approfondito?
Rimango rigorosamente a un livello empirico: ho paura di scendere più in profondità e di analizzare certe reazioni chimiche che si innescano tra un materiale e l’altro. Comprenderne i meccanismi significherebbe razionalizzare l’intero procedimento, il che eliminerebbe quella parte fondamentale di interesse pratico e sensitivo-sensuale che ho nei confronti dei materiali.

Le tue opere sono in costante divenire, come affronti il momento in cui esse diventano altro da quello che avevi immaginato?
A dir la verità, non immagino proprio quello che saranno, né quello che vorrei che diventassero. Come hai detto, le mie sculture sono in costante divenire, non sono mai statiche. Mi affascina l’idea di un equilibrio instabile, che si modifica continuamente nel tempo. Questo equilibrio, comunque, non è frutto del caso: ci sono una serie di elementi fondamentali che metto in atto durante il processo creativo, affinché il risultato finale rifletta una certa compiutezza delle reazioni tra i materiali impiegati.

Quali sono i tuoi modelli di riferimento nella Storia dell’Arte?
I miei modelli nella storia dell’arte abbracciano un’ampia gamma di correnti e tendenze, con una particolare attenzione all’Arte Povera, alla Land Art e al Minimalismo. Sono correnti che rappresentano per me delle fonti di ispirazione importanti, in quanto vedo gli artisti coinvolti in un profondo rapporto di connessione e rispetto nei confronti della natura. Lo vedo nell’interazione diretta con i materiali grezzi e umili dell’Arte Povera e nella creazione spontanea e autentica di opere che si integrano con l’ambiente circostante, tipica della Land Art. Dal Minimalismo, invece, mutuo la semplicità e l’autonomia di quelle forme ridotte all’essenzialità.
In tutte queste correnti, vedo un comune denominatore: l’artista si mette al servizio della potenza inclusiva della natura e permette alle sue opere di dialogare in modo autentico e profondo con il mondo esterno.

Come si lega il tuo lavoro ai temi del Festival CONNEXXION? E come li vivi nella quotidianità del tuo processo creativo?
Nel mio lavoro, la libertà riveste un ruolo fondamentale: permetto ai materiali di esprimersi liberamente, senza costringerli all’interno di forme estranee alla loro natura. Il gesso, ad esempio, assorbe le sostanze e si lascia plasmare secondo la sua volontà, interagendo con esse in modo assolutamente spontaneo e intuitivo. Ne risulta un’immagine indefinita, per quanto possa essere racchiusa in costruzioni definite e solidi semplici. Non voglio che la forma delle sculture prenda il sopravvento sull’opera, caricandosi di substrati e significati occulti che finirebbero per distrarre chi osserva dalla materia e dalle sue relazioni interne.
Il concetto di memoria, poi, nel mio caso si focalizza sul passato prossimo. Evito di rivolgere lo sguardo troppo indietro nel tempo. Non cerco di creare opere destinate a resistere attraverso i secoli, né di evocare ricordi di epoche troppo remote. Le mie opere sono forme universali e senza tempo. La memoria che cerco di trasmettere è legata alla vita stessa dei materiali impiegati, alle loro storie individuali e alla loro essenza intrinseca, piuttosto che a eventi o periodi specifici di un passato più lontano.
Infine, l’identità dei miei lavori emerge come la diretta conseguenza di quella libertà concessa alla forma e ai materiali a monte, durante il processo creativo. Ogni opera possiede una sua identità originaria che si può manifestare solo quando la si lascia libera di essere.